Content marketing e native advertising tra somiglianze e differenze

Il marketing digitale è cresciuto molto negli ultimi 15 anni. Il nostro ecosistema digitale continua ad evolversi, e anche le sue singole parti devono crescere di pari passo. È il caso del content marketing e del native advertising. Così simili, così diversi…

Non è raro che aziende e operatori di marketing utilizzino, erroneamente, le due parole in modo intercambiabile. Ma le due formule di diffusione di contenuti hanno significati e capacità molto diversi. Essere consapevoli delle differenze è di particolare importanza per capire come articolare un’efficace e funzionale strategia di internet marketing. Ecco alcune specificità dell’uno e dell’altro.

Native advertising

È qualcosa di cui ognuno di noi ha avuto esperienza, magari inconsapevolmente. Il native adv infatti ha come caratteristica principale quella di essere poco invasivo, il più possibile discreto, proprio per non ‘disturbare’ l’utente.

Gli annunci ‘nativi’ vengono posizionati all’interno di un sito web in modo da non interrompere l’esperienza del visualizzatore, ad esempio tra i paragrafi di un testo, e di solito non appaiono come annunci tradizionali ma risultano ben ‘mimetizzati’ nel contenuto che li ospita.

Generalmente questo tipo di contenuti utilizzano informazioni pertinenti o interessanti per i lettori che l’azienda sta prendendo di mira ma sono ospitati sul dominio di qualcun’altro. È possibile, comunque, distinguere gli annunci dal resto dei contenuti grazie a una piccola etichetta che recita qualcosa come “annuncio” o “contenuto sponsorizzato”.

Content marketing

Il content marketing, invece, poggia su un’idea molto più ampia e articolata di diffusione dei contenuti e ha un obiettivo più profondo e a lungo termine. Come il native, il content marketing fornisce preziose informazioni finalizzate ad aumentare la consapevolezza del marchio rivolgendosi a un gruppo specifico di potenziali clienti.

Tuttavia, il content marketing va oltre, in quanto il suo obiettivo primario è quello di ‘nutrire’ il target e creare cultura intorno all’attività di un brand. E per far questo ha bisogno di tempo. Il risultato finale si misura comunque in termini di vendite e conversioni. Ma non si tratta mai di un singolo contenuto, è un processo continuo di produzione che si inserisce all’interno di una campagna integrata di marketing. Questo processo generalmente include contenuti di vario tipo, come video, guide, newsletter, white paper, blog post, ecc.

Un’altra distinzione importante è che i contenuti creati attraverso il content marketing sono di proprietà dell’azienda che li diffonde e possono rappresentare una risorsa preziosa per molto tempo, mentre gli annunci del native advertising tradizionalmente funzionano su base “pay-to-play”, ospitati su piattaforme di cui l’azienda non è proprietaria.

In conclusione…

Comprendere la differenza tra questi due strumenti del marketing digitale consente di capitalizzarli e sfruttarli al meglio.

Il native lavora per interessare i potenziali clienti di un brand attraverso principalmente un servizio in affitto, allo scopo di indirizzarli verso i contenuti di sua proprietà, cioè quelli che popolano il sito web aziendale. In definitiva, serve a mantenere alta l’attenzione dei clienti, a creare fiducia e generare conversioni.

I lettori sono però meno interessati alla pubblicità rispetto ai contenuti editoriali del content marketing. Le metriche mostrano, nella maggior parte dei casi, tassi di condivisione più bassi, tassi di coinvolgimento minori, numero di visualizzazioni inferiore per l’adv, anche quando è native.

Ciò non toglie che native e content possano viaggiare mano nella mano, con risultati molto lusinghieri per i brand. Hanno obiettivi e metodi diversi per raggiungerli. E, combinati, possono rivelarsi molto molto efficaci.

Lavorando bene in sinergia, abbinati ad altre azioni di canalizzazione e retargeting, significano quasi sempre un alto ROI in grado di ripagare appieno gli investimenti di tempo e denaro dei brand.

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