Quando l’economia della fiducia sorpassa la SEO
Immaginatevi la scena in cui un padre dice al figlio: “un tempo qui era tutto content marketing”, riferendosi alla fine degli anni ’10 di questo secolo.
Alla fine dei conti in questo decennio il trend ormai è chiaro e definito: i contenuti sono diventati il principale strumento di attrazione per moltissime aziende.
Se ci guardiamo indietro, capiamo che questo sviluppo non è frutto soltanto di una moda che si è imposta insieme con la nascita dei blog, e neanche frutto di un mero calcolo di SEO, quanto piuttosto una necessità alimentata dalla nascita dell’economia della fiducia.
Già un paio d’anni fa, un’agenzia di comunicazione statunitense, la Ciceron, aveva elaborato in modo piuttosto sintetico i benefici dell’adozione di strategie di content marketing:
- il 92% delle aziende che aggiornano costantemente il proprio blog acquisiscono in media un nuovo visitatore (e potenziale cliente) al giorno;
- il 78% dei consumatori crede che le organizzazioni che producono contenuti diretti a loro vogliano instaurare una relazione;
- il 60% dei consumatori assume un orientamento più positivo verso un azienda dopo aver letto dei contenuti per la clientela sul suo sito;
- l’80% di coloro che prendono decisioni di acquisto preferisce ottenere informazioni da una serie di articoli più che dalla pubblicità;
- il contenuto interessante è una delle tre ragioni principali per cui si segue un brand sui social media.
Branded content ed economia della fiducia
Favorire e migliorare la SEO e la search in generale è l’argomento principale che ogni agenzia di content marketing tira fuori dalla propria faretra. Ma se fosse così, ci troveremo di fronte ad aziende che scrivono solo per nutrire BIG G.
La faccenda è più complessa. La prima parola da tenere a mente quando parliamo di creazione di content è “brand trust”.
Marchi grandi e piccoli combattono ogni giorno per assicurarsi l’unica cosa che davvero conta – più delle conversioni e forse anche più delle vendite – la fiducia nella marca.
L’economia della fiducia, insieme all’economia dell’attenzione, è uno dei fattori non monetari su cui ruoterà il nostro sistema produttivo.
Facci caso: non esiste più un solo acquisto on-line (o off-line) che non sia preceduto da una ricerca su Google relativa a recensioni e feedback. Ristoranti, scarpe, corsi di formazione, medici di famiglia, banche… qualsiasi bene o servizio ha le sue piattaforme in cui è recensito e messo ai voti.
Una “vecchia” e nota ricerca Nielsen del 2013 tracciava una classifica delle fonti ritenute più attendibili da parte dei consumatori: sito brand, recensioni degli utenti e contenuti editoriali erano già le forme di advertising a cui gli utenti davano maggior fiducia. Questo è il perimetro di preferenza in cui i brand possono costruire e far crescere la fiducia degli utenti attraverso il content marketing.
Il sito del brand non può più gestire un soliloquio attraverso una pagina statica, ma dovrà necessariamente dialogare con il suo pubblico, fornendo argomenti validi per sostenere la reputazione del suo nome e dei suoi prodotti.
Per il sito aziendale dunque l’attività più efficace per sostenere la “brand trust” è senza dubbio la creazione e la diffusione di contenuti originali. La produzione di contenuti propri rilevanti per l’audience di riferimento è il modo migliore per parlare con il target.
Una esposizione costante dei clienti a messaggi rilevanti e di qualità da parte dello stesso brand favorirà l’abbinamento del brand ad un’emozione positiva, e infine favorirà la costruzione di fiducia nella marca.
Non c’è content senza marketing
Una strategia di content marketing si avvale sicuramente di un grande investimento in termini di tempo, perché contenuti di qualità richiedono studio e dedizione. Ma se paragonati alle vecchie forme di marketing, i costi sono decisamente più bassi.
HubSpot.com, impresa fornitrice di strumenti di web marketing, scoprì che nel 2015 il content marketing aveva generato il triplo di lead rispetto alle strategie tradizionali, costando però il 62% in meno.
Questo non significa, però, che bisogna lesinare sui mezzi di diffusione dei contenuti. Le vecchie regole del marketing non sono andate del tutto in soffitta: è necessario dapprima creare un messaggio potente basato sulle richieste e gli umori del pubblico. Ma poi bisogna portare questo messaggio davanti a migliaia persone, di solito attraverso paid media.
Quello che rappresenta il marketing di contenuti è uno spostamento nella forma del messaggio e nella modalità con cui questo raggiunge il pubblico.
Siamo tutti concordi nel sostenere che i vecchi modelli di pubblicità hard-selling vadano sostituiti con articoli preziosi o divertenti, video e infografiche. Ma se vuoi raggiungere veramente tanta gente, se vuoi generare rapidamente conversioni, devi spostare quello che un tempo era l’investimento in spot tv e dirottarlo su un social-paid digitale, su native advertising o su piattaforme integrate di performance marketing.
Come il content sostiene l’engagement
Quando si parla di social media e contenuti emerge spesso l’associazione tra l’uso dei canali Facebook, Twitter etc, la diffusione del contenuto e l’engagement.
Ti sarà capitato di vedere pagine aziendali con fanbase importante, che però non riescono ad innescare buoni livelli di engagement a livello dei singoli post. Mentre invece altre pagine, anche con un numero inferiore di fan, riescono a sviluppare buoni livelli di interazione. A fare la differenza sono i contenuti.
Non importa dove siano ospitati: che si tratti del blog aziendale, di canale di Youtube, di un sito partner o indipendente. Ciò che importa è che ogni contenuto sia di qualità, rilevante ed interessante.
I contenuti potranno quindi essere rilanciati sulla pagina Facebook, dove gli utenti potranno apprezzarne la qualità, e lo manifesteranno con l’aumento delle interazioni. E di conseguenza, aumenterà anche la fiducia percepita e l’autorevolezza del brand.
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