Contenuti autocelebrativi: perché sono un errore nel content marketing

Sono tramontati i tempi dei siti aziendali statici in cui potevano trovar spazio solo banner con offerte esclusive e contenuti autocelebrativi come “Siamo i migliori del settore” oppure “Fidati dei numeri uno”. Il trend è cambiato perché il content marketing, e più in generale l’inbound marketing, ha cominciato a prender piede sovvertendo l’ordine delle cose. Adesso non è più il libero professionista o l’azienda che va a cercare i suoi clienti, ma sono i clienti che cercano i brand.

Anche i rapporti sono cambiati, semplicemente perché adesso aziende e singoli professionisti puntano a costruire un canale diretto con il cliente. E il cliente contento non mancherà di diventare cassa di risonanza per la diffusione e la promozione della qualità dei servizi/prodotti offerti. La web reputation è quello che un tempo era il passaparola nelle piazze o nei salotti, con il vantaggio (o il peso) non trascurabile di poter essere tracciata, quantificata ed analizzata.

Contenuti autocelebrativi, sempre da evitare

Un orsacchiotto si sta guardando allo specchio

La reputazione si costruisce step by step, contenuto dopo contenuto, e non è mai un’auto-investitura ma un riconoscimento sociale che ci guadagniamo gradualmente. Soprattutto quando il nostro marchio non è ancora noto, c’è un errore da evitare a tutti i costi: i contenuti autocelebrativi.

Tante volte buoni contenuti, su cui magari abbiamo lavorato tanto, per il reperimento delle fonti, la stesura, e magari anche qualche campagna di Adwords a supporto, non vengono condivisi e non ricevono le visite che ci aspettiamo. Questo può dipendere da diversi fattori. Ma l’errore in cui incorrono in tanti è infarcire un post di contenuti autocelebrativi o autoreferenziali. E ciò chiaramente penalizza molto la diffusione del messaggio.

Il lettore come stella polare

Per evitare questo errore sul proprio blog bisogna innanzitutto immedesimarsi nel lettore tipo. Chiunque spenderà un minuto del suo tempo sui post non lo farà perché è affascinato da un marchio o vuol vivere della sua luce riflessa, ma perché ha un problema e sta cercando una soluzione. È una sorta di legge naturale del marketing. I clienti quindi vanno nutriti con contenuti di valore, che offrano appunto delle soluzioni, meglio se specifiche e circoscritte.

Un blog autorevole sostituisce alle forze brand-centriche delle forze centrifughe, indirizzate verso il cliente e le sue esigenze. Una programmazione editoriale che segua costantemente il principio di utilità paga sempre nel lungo periodo, lasciando che nel cliente si sedimenti spontaneamente la certezza che quella fonte sia veramente autorevole nel suo settore. Una buona lead generation parte da qui.

Non bisogna neanche fare il giochino di fornire con una mano un contenuto, magari valido, e con l’altra mano far arrivare l’advertising duro e puro sulla chiosa del post. Lo spot, indirettamente, è il post stesso, non c’è bisogno di sbandierare nulla, con frasi tipo “compra questo prodotto, siamo i migliori del mercato”.

Storytelling autocelebrativo & filtri di Facetune

Una ragazza si scatta un selfie in una strada di città

Se c’è una cosa che ha fatto fortuna nel campo della fotografia mobile sono le app di editing fotografico per il volto. L’ossessione per il difetto ha creato davvero un fiorente mercato, non solo nella chirurgia estetica.

Persino lo storytelling aziendale ne è stato influenzato. Un potente strumento di avvicinamento tra brand e cliente, come può essere il racconto schietto della storia che c’è dietro un’azienda e i suoi valori si è trasformato in molti casi in una sorta di selfie privo di difetti. Contorni sfocati e rassicuranti, linee perfette, pelle levigata, sino ad arrivare alla vera e propria irriconoscibilità: più che un selfie una fake news.

Un caso eclatante di questi giorni è l’uscita del film “The Startup” che racconta l’avventura imprenditoriale di Matteo Achilli, fondatore di una piattaforma chiamata Egomnia. Un astuto meccanismo di newshacking ha fatto credere che Egomnia fosse LinkedIn e Achilli una specie di “Zuckerberg italiano”. Ebbene, alla fine era una fake news, perché Egomnia è un sito quasi del tutto spopolato, e Achilli è un ragazzo affetto da manie di grandezza. Alla prova del fact-checking la sua reputazione ne è uscita ampiamente ridimensionata.

Coltivare un piano editoriale di storytelling aziendale come una specie di parata gloriosa, omettendo difficoltà e difetti dà come risultato quello di creare sospetto e antipatia epidermica. Dietro una storia di successo ci sono tanti fallimenti, tanti tentativi, cambiamenti del team, salti dal treno in corsa. Dar spazio a questi elementi rende il volto aziendale o del libero professionista un “brand umano”, degno di fiducia, perché crea un legame emotivo tra narratore e lettore.

Insistere su contenuti autocelebrativi significa tracciare un solco tra il tuo marchio e i tuoi clienti, sino al punto di generare fastidio. Se raggiungi un traguardo, fai in modo di raccontare come ci sei arrivato. A quel punto anche la tua storia aziendale potrà essere utile a qualcuno.

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